L'emolumento della Retribuzione professionale docente “ha natura fissa e continuativa e non è collegato a particolari modalità di svolgimento della prestazione del personale docente ed educativo (cfr. fra le tante Cass. n. 17773/2017)”; inoltre, “ai sensi della clausola 4 dell'Accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE”, gli assunti a tempo determinato, anche per pochi giorni, “non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato”. A sostenerlo è il giudice del Tribunale di Catania, sezione lavoro, che ha esaminato il ricorso di una docente che ha svolto delle supplenze “per 233 giorni nell’anno scolastico 2018/2019, per 3 giorni nell’anno scolastico 2019/2020 e per 42 giorni nell’anno scolastico 2020/2021”, condannando il Ministero ad assegnargli 1.617 euro più accessori.
Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief, sostiene che “queste sentenze confermano che i circa 175 euro mensili della Retribuzione professionale docenti, come la Cia per il personale Ata, costituiscono una parte dello stipendio e non possono essere omessi a seconda degli umori del legislatore. Privare i precari di cifre importanti in busta paga diventa irrispettoso e discriminante. Per questi motivi, siamo convinti che un insegnante, educatore o Ata, con un passato da precario debba produrre ricorso ad hoc per il recupero della Retribuzione professionale docente: farebbero bene, gli interessati, a rivolgersi alle nostre strutture territoriali per valutare se è il caso di presentare istanza di ricorso”, conclude il sindacalista autonomo.
Nella sentenza di Catania, viene spiegato che “l'interpretazione delle norme Eurounitarie è riservata alla Corte di Giustizia, le cui pronunce hanno carattere vincolante per il giudice nazionale, che può e deve applicarle anche ai rapporti giuridici sorti e costituiti prima della sentenza interpretativa perché a tali sentenze, siano esse pregiudiziali o emesse in sede di verifica della validità di una disposizione, va attribuito il valore di ulteriore fonte del diritto della Unione Europea”: per questi motivi, si legge ancora nella sentenza, questa “Corte territoriale, pur escludendo, erroneamente, la rilevanza del principio di non discriminazione fra assunti a tempo determinato e indeterminato, ha comunque evidenziato, in motivazione, "che il supplente temporaneo, in quanto assunto per ragioni sostitutive, rende una prestazione equivalente a quella del lavoratore sostituito" ed ha disatteso la tesi del Ministero secondo cui la durata temporalmente limitata dell'incarico sarebbe incompatibile con la percezione della RPD”.
Tutto questo è stato confermato pure dalla Corte di Cassazione, sezione lavoro, con ord. 5 marzo 2020, n. 6293, la quale è stabilito che non vi sono “ragioni oggettive legittimanti un trattamento differenziato per il personale supplente a tempo determinato, sia sulla base della formulazione letterale della norma, che, quanto alla titolarità di tale voce retributiva.
LE CONCLUSIONI DELLA SENTENZA
Per il giudice del lavoro di Catania, “non rilevandosi diversificazioni nell'attività propria di tutti gli assunti a tempo determinato, a prescindere dalle diverse tipologie di incarico, rispetto a quella del personale stabilmente inserito negli organici, discende che la ricorrente ha diritto ad avere corrisposta la Retribuzione Professionale Docenti. La stessa è stata calcolata in ricorso dalla ricorrente applicando correttamente i criteri e gli importi stabiliti dalla contrattazione collettiva, tenendo conto dell’aumento, previsto a decorrere dal 1° marzo 2018, di € 10,50, rispetto all’importo di € 164,00 mensili previsto dall’articolo 87 del CCNL del 29 novembre 2007, in relazione ai giorni di servizio espletati sulla base dello stato matricolare in atti. Muovendo dalla corretta individuazione dell’importo lordo giornaliero, in proposito tenendo correttamente conto dell’impegno orario settimanale completo nel corso degli anni scolastici 2018/2019, 2019/2020 e 2020/2021 dedotto e dalla corretta ricostruzione del numero di giorni di servizio svolti nel predetto anno sulla base del contratto prodotto, l’importo dovuto alla ricorrente è pari ad € 1.617,96. Il Ministero convenuto deve essere, dunque, condannato a pagare la somma di € 1.617,96, oltre accessori nella misura di cui all'art. 16, comma 6, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, richiamato dall’art. 22 legge n. 724/94”.
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